Storia

Dalla devozione alla Madonna dell’Arco il nome Archi

La parrocchia di S. Giovanni Battista ha inizio nel lontano 1613 e ad essa e alla sua storia si deve collegare quella del quartiere, a partire dal nome.

Fu intatti l’Arcivescovo del tempo Mons. Annibale D’Afflitto che il 22 ottobre 1613, su richiesta  degli abitanti del luogo che s’impegnavano a mantenerla economicamente, eresse la chiesa sita in contrada “Turbulo” (= Torbido), fino ad allora Collegiata, cioè dipendente, della Cattolica dei Greci, a parrocchia.

La chiesa sorgeva sul luogo dove oggi si trova l’Istituto delle Suore Francescane Alcantarine; era un edificio piccolo di superficie, molto semplice, ma decoroso. Era, infatti, costruito in legno, a cui si accedeva salendo tre gradini; le sue dimensioni erano 15 metri di lunghezza per 8 metri di larghezza. L’altare misurava m. 4 x 3.

Sulla parete, di fronte al fonte battesimale, vi era dipinta l’immagine di S. Giovanni Battista che battezza Gesù nel fiume Giordano.

Molto viva e sentita dalla popolazione era la devozione alla Madonna dell’Arco, che veniva festeggiata solennemente la Domenica in Albis, e di cui nella chiesa vi era un quadro (probabilmente qui custodito dopo la distruzione ad opera dei turchi nel 1564 della Chiesa intitolata a Santa Maria dell’Arco).

E da questa devozione – e non da “Arx” (= fortezza) o “Arkè” (= inizio), come alcuni studiosi erroneamente affermano – ben presto la borgata, indicata genericamente dal nome dei torrenti come “Contrada Turbulo” o “Piana dello Scaccioti”, prese il nome Archi.

Ne fanno fede gli atti di battesimo, dove è riportata prima la denominazione “Ecclesia Parrocchialis Sancti Joannis Baptistae de Arco” e nel 1697 compare l’aggiunta “…et Sanctae Mariae de Arco”; nel 1742 il sostituto parroco, don Scipione Nava, corregge “de Arcu” e nel 1831 negli atti il termine assume la forma plurale “de Arcubus” e nel 1851 “de Archibus”.

Il termine “Archi” faceva però la sua comparsa nel 1768 nell’atto notarile di costituzione della Congregazione laicale di Gesù e Maria, dove gli istitutori si qualificavano come appartenenti alla Parrocchia di S. Maria degli Archi.

L’estensione territoriale originaria della parrocchia era molto vasta e maggiore dell’attuale quartiere: andava da Pentimele fino alla contrada Pietra della Zita compresa, confinando con le parrocchie di S. Biagio (Gallico), di S. Maria di Loreto (Orti) e di San Nicola (Vito).

Gli abitanti erano in tutto 291 e le famiglie appena 73.

La Parrocchia rimase una fino al 1961, fin quando cioè non venne elevata a parrocchia autonoma la chiesa succursale di Maria SS.ma del Carmelo, a cui venne aggregata la chiesa di S. Antonio Abate, preziosa testimonianza di architettura di tradizione basiliano-normanna, attualmente in fase di restauro. Oggi, dopo la costruzione del quartiere CEP, Archi annovera tre parrocchie: S. Giovanni Battista con la chiesetta succursale di S. Francesco Saverio, Maria SS.ma del Carmelo e S. Stefano da Nicea.

(…)

Il tremendo terremoto del 28 dicembre 1908 che colpì Reggio e Messina non risparmiò Archi dalla sua furia devastatrice. Molti furono i morti e i feriti così come pure di una certa entità furono i danni alle cose La Chiesa parrocchiale e la casa canonica crollarono e lo stesso parroco, don Paolo Pensabene, vi rimase ferito.

Nel 1917, morto Don Pensabene, venne nominato parroco don Bruno Barillà, un giovane e dinamico sacerdote, anch’egli come don Pensabene nativo di Archi.

don bruno Barillà seniorDon Bruno Barillà senior

Il quartiere, sotto la guida di questo valente e dinamico prete, ebbe il suo periodo aureo, vivendo momenti di crescita e di sviluppo sociale e culturale. Molte furono, infatti, le opere che sorsero e si realizzarono per merito suo a cominciare dalla chiesa (tra il 1926 e il 1928) la prima a sorgere nella diocesi dopo il terremoto.

Sulle rovine della vecchia chiesa venne costruita una chiesa baracca, che rimase funzionante fino al 1928.

Domenica 3 gennaio 1926, alla presenza delle autorità ecclesiastiche, civili e militari, venne posta la prima pietra della nuova chiesa parrocchiale, che fu costruita in tempi abbastanza celeri (due anni!).

Una scritta, scolpita su una grande lastra di marmo posta sulla parete esterna della chiesa fino al 1971, ricordava la storia della realizzazione del sacro edificio.

Questo il testo:

“RISORTA PRIMA FRA TUTTE DALLE ROVINE DEL 1908 PER

L’INTERESSAMENTO DEL PARROCO DON BRUNO BARILLA’

ESSENDO ARCIVESCOVO DI REGGIO

MONS. RINALDO ROUSSET

QUESTA CHIESA PARROCCHIALE DEL TITOLO DI S. GIOVANNI

BATTISTA FU APERTA AL PUBBLICO CON BENEDIZIONE DELL’

ARCIVESCOVO MONS. CARMELO PUJIA IL 18 MARZO 1928

PORTATA A MAGGIOR LUSTRO DALLO ZELO DELLO STESSO

PARROCO E DALL’AMORE DEI FILIANI FU SOLENNEMENTE

CONSACRATA DALL’ECC.MO ARCIVESCOVO MONS. ENRICO

MONTALBETTI IL XXVII GIUGNO MCMXLII”

Il progetto della chiesa era stato redatto dall’ing. Mario Pandelli in data 28 dicembre 1925 e venne modificato in data 12.5.1926 dall’ing. Carlo Sonetti.

Il 1918 – 1952 è il periodo aureo della parrocchia

Mai Archi conobbe momenti di crescita e di sviluppo sociale e culturale come nei trent’anni che seguirono la fine della prima guerra mondiale. E tutto per merito, come già accennato precedentemente, del parroco don Bruno Barillà senior, anch’egli come don Pensabene nativo di Archi.

Don Bruno, valente giovane prete, aveva affinato e radicato una notevole e concreta sensibilità verso i bisogni sociali, specialmente per gli orfani, come segretario del Vescovo di Mileto Mons. Giuseppe Morabito, altra insigne figura di Archi, distinguendosi subito per la sua energia e operosità già come Rettore della chiesa di Maria SS.ma del Carmelo

Piccolo di statura, ma dotato di grande dinamismo, si adoperò, infatti, incessantemente e instancabilmente per la parrocchia e quindi per Archi levando spesso alta la sua voce contro l’abbandono del rione e per difendere o rivendicare alcuni diritti dei suoi concittadini o dei – come lui stesso soleva definirli – “figli del popolo”.

Può chiamarsi a pieno titolo il parroco della ricostruzione di Archi perché molte furono le opere che sorsero e si realizzarono per merito suo a cominciare dalla chiesa parrocchiale (tra il 1926 e il 1928), la prima a sorgere nella diocesi dopo il terremoto.

L’impegno di questo dinamico sacerdote fu immenso e non ebbe mai momenti di stasi. Già da rettore della chiesa filiale della Madonna del Carmine fece sentire la sua voce a difesa dei bisogni del rione sempre abbandonato dagli amministratori.

Una volta subentrato al parroco don Pensabene, come pastore della parrocchia di S. Giovanni Battista (anno 1917), il suo impegno principale venne profuso innanzitutto per la costruzione della Chiesa distrutta dal terremoto e per dare alla comunità delle strutture e servizi.

A lui si devono: l’istituzione (1918) dell’Asilo “Giovanna di Savoia” (uno dei primi della provincia), gestito per un breve periodo dalle Suore Antoniane di Messina e poi dalle Suore Francescane Alcantarine (1921); la costituzione della Banda Musicale denominata “Religione e Patria” (1924); la costruzione della nuova Chiesa parrocchiale (tra il 1926 e il 1928), la prima a sorgere nella diocesi dopo il terremoto del 1908; il successivo abbellimento e decorazione della chiesa con pregiati affreschi e vetrate lavorate (tra il 1928 e il 1942); la presenza ad Archi delle Suore Francescane Alcantarine, delle quali don Bruno fu un fervente patrocinatore (fu lui che fece acquistare alle suore Alcantarine il suolo della vecchia chiesa parrocchiale, su cui venne edificato l’attuale Istituto, oggi adibito a “Centro d’Ascolto e Solidarietà – Mons. Italo Calabrò”, e si deve sempre a lui la diffusione delle Alcantarine in Calabria); un laboratorio di ricamo e cucito per le ragazze e giovani del rione, annesso all’Asilo (1927); la lapide commemorativa dei caduti di Archi nella prima guerra mondiale; l’asilo ad Archi Carmine; la statua della Madonna del Carmine; la consacrazione della parrocchia al Sacro Cuore di Gesù, con erezione di una statua, a ricordo di tale avvenimento, sulla Piazza della Chiesa (10 giugno 1934); l’orfanotrofio “Cristo negli orfani” – nei primi anni del secondo dopoguerra – gestito dalle suore Alcantarine e sito sopra l’Asilo con una costruzione sopraelevata; la sala parrocchiale (attuale sede del Circolo “Paolo VI”); la costruzione (1951 – 1952) della nuova Chiesa del Carmine (l’edificio demolito nel 1992 per dar vita all’attuale nuova costruzione).

Cristo negli orfaniDon Bruno Barillà senior nell’Istituto “Cristo negli orfani”, da lui voluto e fondato

Dal 1955 ai giorni nostri

La storia della parrocchia in questi ultimi quarant’anni ha registrato l’avvicendamento di ben quattro parroci e la sua suddivisione in altre due, quella di Maria SS.ma del Carmelo nella contrada Carmine nel 1961 e l’altra, nel 1970, con la nascita del Cep, di S. Stefano da Nicea.

A dir il vero, sul finire degli anni sessanta, era intenzione della Curia Diocesana staccare la zona sud, dal Torbido a Pentimele, per creare una nuova parrocchia, quella di S. Francesco Saverio. Per tal motivo era stato nominato un rettore, don Pasquale Suraci, che molto si prodigò in tal senso, raccogliendo i ragazzi e giovani dando vita a una sezione di Azione Cattolica, creando un asilo nel rione Baracche, un centro ricreativo per uomini e uno per i giovani.  Ma alla fine il progetto sfumò.

I parroci sono stati: don Bruno Barillà junior (1955-1970), don Giuseppe Familiari (1971-1994), don Antonello Foderaro (1994-1996), padre Domenico Seminara, monfortano, (1996-2010), padre Vincenzo Troletti (2010-2011), come amministratore parrocchiale, e dal 2011 è parroco don Pietro Sergi.

In questo periodo la parrocchia si è arricchita di nuove strutture e nuove realtà.

Si ricordano, tra le altre, la costruzione della casa canonica, ad opera del compianto parroco don Giuseppe Familiari nel 1979; la nascita del Centro Volontari della Sofferenza nel 1980, su iniziativa di Carmela Saraceno; la fondazione del Circolo Socio-culturale “Paolo VI” nel 1985; l’apertura del Centro d’Ascolto e Solidarietà “Mons. Italo Calabrò” nel 1991 da parte della Caritas diocesana e ospitato nell’Istituto delle suore francescane alcantarine, che lo gestiscono; la costituzione di un Gruppo Scout denominato “R. Baden Powell” RC 15 nel 1995; il rifacimento del pavimento della chiesa parrocchiale e alcune modifiche apportate all’interno con lo spostamento in avanti dell’altare e l’allargamento del presbiterio. La chiesa si è arricchita di alcune opere preziose come la grande icona del Cristo benedicente, il nuovo altare, l’ambone e il nuovo portone.

Un accenno particolare merita il portone, benedetto solennemente dall’Arcivescovo, mons. Vittorio Mondello, il 4 gennaio 2003.  Esso, in massiccio legno di noce e di rovere patinato, è quello della Cattedrale, messo in disuso dopo la sostituzione con le porte in bronzo e che era stato realizzato nel 1928, essendo arcivescovo Mons. Carmelo Puja, dalla Ditta messinese Ainis Lella.

Questo portale è stato impreziosito da dodici artistiche formelle in bronzo, opera dello scultore Gennaro Carresi, raffiguranti gli episodi salienti della vita di San Giovanni Battista, dal battesimo di Cristo alla decapitazione per via di Erode. Una di esse è però dedicata a S. Francesco Saverio, in onore del santo a cui è intitolata la piccola ed antica chiesetta che sorge nel territorio parrocchiale presso il Serpentone.

Le originarie formelle in bronzo, opera dello scultore Piraino, si trovano conservate nella cappella di San Paolo nella Cattedrale della nostra città.

Nell’arco di questo periodo – oltre al positivo su accennato – si sono registrati alcuni eventi negativi che hanno depauperato la parrocchia. Tra essi la perdita della Banda musicale “Religione e Patria”, quale espressione della parrocchia e fiore all’occhiello di tutta Archi, voluta e fondata nel 1924 dall’allora parroco don Bruno Barillà senior e lasciata a sé negli anni ’70. Un altro danno di gravissima entità è da considerarsi la cancellazione degli affreschi che adornavano tutta la chiesa: anche se opera di autore non famoso, i dipinti rendevano l’edificio molto bello.

Altre gravi perdite sono state l’abbattimento del pulpito, in marmo, e del fonte battesimale, realizzato, quest’ultimo – come già detto – con l’acquasantiera dell’antica chiesa.

Anche l’Istituto delle suore francescane ha subito un’evoluzione. Sorto sul suolo dell’antica chiesa distrutta dal terremoto del 1908, fatto acquistare all’asta dalle suore alcantarine, su volontà e pressione del parroco don Barillà senior, e divenuto centro vitale e punto di riferimento per tutto il territorio con i laboratori di ricamo e cucito e con l’asilo e l’orfanotrofio dopo, oggi non presenta più le originarie caratteristiche, sia per essere stato trasformato in un Centro d’Ascolto Caritas, sia per l’assegnazione di un nuovo nome, passando da “Istituto Cristo negli orfani” a “Casa sr. Maria Chiara dell’Annunciazione”.

La consacrazione della chiesa parrocchiale

Il 14 febbraio 1998 S. E. Mons. Vittorio Mondello, Arcivescovo della nostra Diocesi, con una cerimonia molto partecipata e commovente, consacrava, o meglio dedicava la nostra chiesa parrocchiale. A concelebrare vi erano i parroci di Archi, padre Domenico Seminara, don Rosario Mangeruca e padre Maurizio del Prato, il monfortano padre Andrea e l’angolano padre Gioacchino Tchingelesi, allora parroco di Lazzaro, che era stato per un breve ma denso periodo nella nostra comunità di Archi, a cui era rimasto legato da un profondo sentimento di affetto.

Dopo la benedizione delle dodici croci sistemate lungo le pareti della chiesa, l’Arcivescovo ha posto nell’altare, dopo averlo benedetto, le reliquie dei santi Luigi da Montfort e Pietro d’Alcantara, dei martiri reggini Lucio e Colomba, e del beato padre Catanoso.

Il sacro rito era stato voluto dal parroco, padre Domenico Seminara, dopo i lavori di ristrutturazione della chiesa, che hanno interessato il rifacimento del pavimento, la sistemazione del tetto per eliminare l’infiltrazione di acqua piovana e di umidità, lo spostamento in avanti dell’altare, il nuovo impianto di illuminazione secondo le nuove norme CEE, il nuovo altare con ambone e sedie presbiterali, tutti in marmo granito.

A titolo di cronaca si fa presente che i lavori, iniziati nel luglio 1997, erano stati fatti dall’impresa Carmelo Barbaro di Archi per un importo di Lire 106.194.000.

Riandando indietro con la memoria storica, ricordiamo che la chiesa parrocchiale, un tempo, prima della sua distruzione causata dal terremoto del 1908, era ubicata dove oggi sorge l’istituto delle suore francescane alcantarine e che la posa della prima pietra per la costruzione della nuovo sacro edificio avvenne domenica 3 gennaio 1926 con la partecipazione delle autorità ecclesiastiche, civili e militari, tra cui Mons. Agostino Rousset che compì il sacro rito,  in rappresentanza dell’Arcivescovo Mons. Rinaldo Rousset, il sub-commissario al Comune, cav. Melissari, e l’ing. P. Angelini.

Il progetto originario era stato redatto dall’ing. Mario Pandelli in data 28 dicembre 1925, modificato in data 12.5.1926 dall’ing. Carlo Sonetti e approvato dall’Ispettore Superiore del Genio Civile Delegato del Ministero del Lavori Pubblici in Messina in data 8 giugno 1926.

La chiesa, grazie all’opera e all’interessamento dell’allora parroco don Bruno Barillà senior, venne edificata in tempi record – “la prima della diocesi a sorgere dopo il terremoto” – ed aperta al culto il 18 marzo del 1928, con benedizione dell’Arcivescovo Mons. Carmelo Puija.

Il 2 luglio 1928, presso lo studio del notaio Giuseppe Gangemi in Gallico, si svolse, poi, la vendita all’asta del suolo della vecchia chiesa, che, per la cifra di Lire 1.400, se l’aggiudicò suor Anisia Fusco, superiora delle Francescane Alcantarine di Archi.  Detta somma venne utilizzata dal parroco Barillà per i lavori di rifinitura e arredamento della nuova chiesa parrocchiale, in quanto dal finanziamento del progetto di costruzione (L. 610.000) erano escluse qualsiasi opera di abbellimento e qualsiasi opera inerente alla canonica.

Le pareti della chiesa vennero completamente affrescate, rendendo l’edificio un vero gioiello di splendore artistico, dal maestro Sperandio. Di tali opere rimangono soltanto gli affreschi centrali e l’immagine di S. Giovanni Battista in alto dell’altare maggiore.

Terminati detti lavori di abbellimento e decorazione, il 27 giugno 1942, la chiesa venne solennemente consacrata dall’arcivescovo Mons. Enrico Montalbetti

Il 18 marzo 1973, dopo alcuni lavori di ristrutturazione, voluti dal parroco don Giuseppe Familiari per uniformarla alle nuove direttive del Concilio Vaticano II, mons. Giovanni Ferro, allora arcivescovo di Reggio, consacrava il nuovo altare deponendovi le reliquie dei santi martiri reggini Lucio e Colomba.

Alla presenza di San Gaetano Catanoso

 

LA CONSACRAZIONE DELLA PARROCCHIA

AL CUORE SACRATISSIMO DI GESÙ

 

 

Una grande statua in cemento raffigurante Gesù domina il lato nord della Piazza della chiesa parrocchiale. Un Gesù con le braccia aperte a simbolo di perenne invito e di abbraccio per gli abitanti di Archi.

Sacro Cuore di GesùLa statua del Sacro Cuore di Gesù

Sotto la statua una stele con la seguente epigrafe:

“IL POPOLO DI ARCHI

ESSENDO PARROCO

BRUNO BARILLA’

E PRESENTE

L’ARCIVESCOVO DELLA DIOCESI

MONS. C. PUJIA

CONSACRANDOSI

AL CUORE S.S. DI GESU’

GLI HA GIURATO

FEDE E AMORE

 

10 GIUGNO 1934″

Questo monumento fu eretto a testimonianza della consacrazione di Archi (allora vi era una sola parrocchia per tutto il rione) al Sacro Cuore di Gesù, avvenuta nel mese di giugno 1934, e voluta dall’allora parroco, don Bruno Barillà senior, quale “pratico e caro ricordo” dell’anno santo (il 1933 era stato proclamato Anno Santo della Redenzione).

Il settimanale diocesano Fede e Civiltà riportava: ‹‹Vi fu una preparazione molto intensa con otto giorni di predicazioni (Can. Licari, rettore del Seminario Arcivescovile, il parroco Trapani e il Rettore del Seminario Pio X, P. Del Prete S.J.).

Mattina di giorno 10 l’Arcivescovo, accompagnato dai canonici Mons. Licari e Mons. Zumbo, celebrava la Messa “davanti a un popolo che stipava letteralmente la chiesa”, e poi benediceva la statua. La sera doveva svolgersi la processione del Cuore di Gesù e la solenne consacrazione del popolo, ma tutto venne rinviato alla domenica successiva per la pioggia insistente.

Dopo la processione (giorno 17), verso le ore 20, S.E. l’Arcivescovo impartiva coll’Ostensorio la trina benedizione. Il Vescovo era assistito dai Canonici Mons. Licari e Parr. Catanoso (ndr. San Gaetano Catanoso).

Sulla porta della Chiesa era stato eretto un altarino per l’Ostensorio.

Fu una grande festa con illuminazione, banda musicale, spari, ecc. Per l’occasione venne stilata una specifica preghiera di consacrazione, che ottenne l’approvazione ecclesiastica.

 

Questo il testo della preghiera:

Gesù, nessun altro tempo più propizio che il bel mese del Tuo amore potevamo scegliere per consacrare al Tuo sacratissimo cuore la nostra parrocchia.

Vedi, è presente l’Eccellentissimo Presule dell’insigne Archidiocesi di Reggio. Sono presenti tutti i fedeli con a capo il reverendissimo parroco e tutti fusi in un sol cuore e in un’anima sola.

Alla presenza della SS. Vergine Maria, del nostro Santo Patrono S. Giovanni Battista e di tutta la Corte celeste, solennemente e irrevocabilmente ci consacriamo al Tuo Sacratissimo cuore.

A Te consacriamo le nostre persone, le nostre famiglie, le nostre case, le nostre scuole, le officine, i nostri campi, affinché Tu possa regnare in tutti i cuori e in tutte le attività nostre sia spirituali che temporali.

È l’ora della grande promessa, o Divin Cuore, e Tu gradisci la nostra consacrazione quale affermazione di fede e di civiltà cristiana quale atto di riparazione agli oltraggi che continuamente dilacerano il Tuo sensibilissimo cuore.

Sì, o Gesù, mentre il mondo Ti porge la corona di spine, noi in questo giorno solennissimo Ti offriamo lo scettro potente della regalità o il diadema radioso della gloria affinché Tu solo possa regnare su questa Parrocchia ormai divenuta tutta del Tuo cuore.

O cuore adorabile di Gesù, noi Ti offriamo i sorrisi e l’innocenza della culla, le gioie e i dolori della famiglia, l’estremo riposo della tomba. A Te gli affetti nostri, i nostri palpiti, i pensieri, le speranze, il lavoro, le industrie, il progresso e tutto il bene che si compirà nella nostra Archi.

A Te, o caro Gesù, che il fuoco che divampa dal Tuo cuore divino quasi nuovo soffio di vita fremente nelle anime nostre di sacro retaggio di una generazione più pura, più forte, più santa che lodi, onori e glorifichi ora in terra e poi nel cielo il Tuo divinissimo cuore. Così sia.

Il culto di San Francesco Saverio ad Archi

Sorge ad Archi, nei pressi del Serpentone, una chiesetta dedicata a S. Francesco Saverio.

È una cappella antica, eretta nel 1635, e vi è custodita una preziosa statua lignea del Santo.

la chiesetta di S. Francesco SaverioLa chiesetta (anni ’20)

 

La tradizione vuole che essa sia stata fatta edificare da alcuni marinai, scampati ad una paurosa tempesta che li aveva colti, mentre navigavano con il loro bastimento, nelle acque dello Stretto di Messina. Si racconta che il capitano e l’equipaggio si rivolsero fiduciosi a San Francesco Saverio, di cui portavano nella nave una statua, invocando aiuto e facendo voto di costruirgli una chiesa dove sarebbero sbarcati.

Il mare divenne immediatamente calmo e i marinai, toccata terra, mantennero la promessa: comprarono il suolo per il sacro edificio ed alcuni terreni adiacenti per il suo mantenimento, e vi lasciarono anche la statua del Santo.

La devozione per l’Apostolo delle Indie si diffuse rapidamente, tanto che la stessa contrada prese il nome di San Francesco Saverio.

San Francesco era il fedele e sicuro protettore degli abitanti della borgata; a Lui ci si rivolgeva per ogni necessità, spirituale o materiale, e quando qualcuno stava male, veniva tolto alla statua del Santo il bastone e portato in casa dell’ammalato per la guarigione.

Fino ad alcuni decenni fa quando ancora nelle abitazioni non vi era l’acqua e quella delle fontane pubbliche era insufficiente per il bucato, le donne del rione si recavano sulla spiaggia, nella parte sud della baia di Pentimele, dove, scavata una buca a pochi metri dalla battigia – “na urna”, come si diceva in dialetto – con l’acqua dolce che copiosa vi affiorava, lavavano i panni o la lana dei materassi. Miracolo, dicevano devote e riconoscenti le persone, miracolo di San Francesco che ha voluto così beneficiare il luogo del suo approdo.

Tra i fedeli che frequentavano la chiesetta, ve n’è stato uno in particolare che ha dato lustro al rione, divenendo la personalità più insigne che il quartiere annovera tra i suoi figli. Si tratta di Mons. Giuseppe Morabito, nato in questa contrada il 5 giugno 1858 e divenuto vescovo di Mileto (oggi in provincia di Vibo Valentia). In questa chiesetta, da bambino, Mons. Morabito apprese le prime nozioni del catechismo e conobbe le virtù di San Francesco, di cui rimase affascinato; qui maturò la vocazione al sacerdozio e con una profonda devozione al Santo crebbe e diventò ministro di Dio. Egli non recitava panegirico, conferenze, o discorsi o prediche per le sante missioni senza l’invocazione a San Francesco Saverio. Mons. Morabito fu un uomo di elevata cultura e di ammirabile sensibilità sociale e umana, che mise in pratica dopo i disastri del terremoto che colpì i paesini della Piana e del vibonese nel 1905. Per venire incontro alle necessità dell’infanzia, degli orfani e degli anziani inerti e bisognosi, fondò in quasi tutti i paesini della sua Diocesi asili infantili, orfanotrofi, ricreatori festivi; a Nao, su una collinetta nei pressi di Vibo Valentia, eresse un Ospedale, che intitolò a San Francesco Saverio.

Per questa sua viva e ardente devozione ebbe da Dio una piccola ricompensa: morì nel giorno liturgico del Santo, il 3 dicembre 1923.

Ritornando al culto di San Francesco Saverio, c’è da dire che fu proclamato anche patrono della città di Reggio. Cita, a proposito, lo storico reggino Spanò-Bolani, nella Cronachetta di notizie varie relative alla Storia di Reggio, in appendice alla sua Storia di Reggio Calabria, che il 27 marzo del 1638, sabato delle Palme, vi fu un tremendo terremoto, che distrusse parte della Calabria. Riportando quanto scritto dal Gesuita Giulio Cesare Recupito nel Nuncius terraemotus Calabriae, dice che Reggio non subì alcun danno e “che fu girata in processione la statua di S. Francesco Saverio, nuovo Patrono della città”.

Probabilmente la statua è quella ancor oggi conservata nella suddetta chiesetta di Archi-Pentimele.

Don Familiaroi e Padro AdolfoDon Familiari e Padre Adolfo

di Saverio Nettuno

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